La parola è uno strumento potente: per questo motivo ho voluto unire fotografia e racconto. Costruire una maschera per “guardare in faccia” la paura e poi liberarsene, parlando di libertà. Il gioco, la manualità, la creatività sono diventati il mezzo per poter esprimere se stessi.
Con l’aiuto di Marta Scrignaro e Anna Spiniella, ho chiesto a ogni bambino e a ogni bambina di raccontarmi e di registrare – direttamente sulla fotografia – la loro paura più grande e poi la loro idea di libertà. Spesso la fotografia, soprattutto quella di reportage, è vista come uno strumento di “appropriazione”: il reporter entra nella vita dei propri soggetti, li ascolta, scatta delle fotografie, se ne va. In questo progetto invece, l’incontro, l’ascolto e la restituzione diventano le chiavi per una narrazione potente e per una condivisione toccante. Così ho incontrato Edit che – per parlare con suo fratello gemello Aron – usa il canto e con il candore dei suoi 6 anni mi dice “Sai, al compleanno spengo io le candeline: lui non può”. E Emily, che prepara le sue ricette con fiori e foglie raccolte nel giardino di casa per poi condividere piatti gourmet creati con la fantasia con la propria famiglia. E poi ancora Asia, che ama far ridere suo fratello Giorgio ed è lei a chiedermi di scattar loro una foto insieme. Eren, che non ha paura di niente, mi dice, ma che sulla valigia blu portata di casa in casa, decide di scrivere proprio la parola “korku”, paura, in turco. Ogni incontro, ogni famiglia è stata una scoperta di forza, di bellezza e di coraggio. Ogni fratello e ogni sorella hanno trovato un loro linguaggio e hanno potuto esprimere il proprio “io” scegliendo dove essere fotografati, con quali oggetti, e potendo raccontare ciò che più gli stava a cuore utilizzando lo strumento del gioco. E allora la maschera non simboleggia più solo la paura – ma diventa uno mezzo potente per liberarsi da essa e per guardare al futuro con la leggerezza e la bellezza che solo il passo lieve dell’infanzia possiedono.